L'epica

Da Cap2.

CIVILTÀ E LETTERATURA LATINA


PARTE PRIMA - L'ETÀ ARCAICA


CAPITOLO 3 - L’EPICA

Indice

GNEO NEVIO (ca. 275 - ca. 200 a. C.)

Livio Andronico, pur degno della massima considerazione, non fece altro che traduzioni in latino di opere greche o, al massimo, rifacimenti di originali greci: di conseguenza tranquillamente possiamo affermare che la sua opera fa parte della letteratura greca anche se scritta in latino. Non è sbagliato, a questo punto, sostenere che il vero iniziatore della letteratura latina, con un soggetto nazionale, non fu Livio Andronico, bensì Gneo Nevio, un personaggio che, per la sua opera, assume un’importanza davvero notevole nella storia della letteratura di Roma antica.


La vita

Gneo Nevio nacque verso il 275 a.C. in Campania, forse a Capua, da famiglia plebea. Ottenne, in seguito, la cittadinanza romana e, come cittadino romano, partecipò alla prima guerra punica (264 – 241 a.C.). Nel 235 a.C. fece rappresentare la sua prima opera drammatica. Non potendo partecipare alla vita politica attiva come avrebbe voluto, Nevio cercò di influenzare l’opinione pubblica utilizzando le sue commedie, seguendo l’esempio della commedia attica antica che aveva uno spirito vivamente “politico”.
Nell’agone politico dell’epoca, Nevio idealmente si schierò con il partito conservatore di cui facevano parte personaggi del calibro di Fabio Massimo e Catone il Censore. Causa uno spirito libero e mordace, Nevio si scontrò spesso con la classe dominante ed in particolare ebbe contrasti con le potenti famiglie patrizie degli Scipioni e dei Metelli. Tali contrasti non si limitarono, purtroppo, al puro scontro dialettico, ma ebbero conseguenze gravissime tanto è vero che i Metelli fecero imprigionare il poeta. Nevio, in seguito, fu liberato grazie all’intervento dei tribuni della plebe, ma ormai a Roma non si sentiva più sicuro e quindi andò in esilio a Utica.
Nevio non fece più ritorno in patria e ad Utica morì verso il 200 a.C..

Le opere

Gneo Nevio fu uno scrittore versatile ed eclettico. Egli portò sulle scene latine “fabulae cothurnate”, come Aesiona, Danae, Equos Troianus, Hector proficiscens, Iphigenia e Lycurgus, tutte, ovviamente, di argomento greco. Nevio, però, mostrò subito la sua forte personalità e l’indipendenza dalla cultura greca introducendo a Roma la “fabula praetexta” portando, cioè, sulla scena tragedie di argomento nazionale. Nevio, infatti, rappresentò drammi come il Romulus, che aveva come argomento il mitico fondatore di Roma, ed il Clastidium, nel quale celebrava la grande vittoria riportata dai Romani sui Galli nel 222 a.C. a Casteggio, presso Pavia. È proprio questo il grande merito di Nevio: aver affermato la validità del teatro di ispirazione nazionale nei confronti di quello di ispirazione greca.
La popolarità di Nevio come autore di teatro fu, in ogni modo, affidata soprattutto alle commedie. Anche in questo campo il poeta dimostrò il suo valore e, soprattutto, la sua grande inventiva. Fu Gneo Nevio, infatti, che inventò la “fabula togata”, cioè la commedia ispirata dalla vita e dall’ambiente latino, e, soprattutto, introdusse per primo il procedimento detto “contaminatio”, ossia la fusione di due o più testi teatrali di autori greci per farne uno nuovo.
Fabulae togatae prodotte da Nevio furono, tra le altre, Tarentilla (La ragazza di Taranto), Apella (La donna di Puglia) e Corollaria (La Fioraia).

Questo autore, però, non disdegnò la fabula palliata, di argomento greco.
Di tutta la produzione teatrale di Nevio ci sono giunti, purtroppo, solo titoli e frammenti che, in verità, bastano per darci un’idea della bravura e della freschezza del poeta.
Nell'ultima parte della sua vita il poeta si dedicò alla composizione di un poema in versi saturni, il Bellum Poenicum, col quale inaugurò l'epica nazionale. In questa opera, scritta negli anni in cui Roma combatteva la seconda guerra punica contro il cartaginese Annibale Barca, Nevio cantò, anche sulla base dei suoi ricordi personali per avervi partecipato, la prima guerra punica, ricollegando le vicende del suo tempo alle origini troiane di Roma e fondendo la storia con il mito.
Il poema, più tardi diviso in sette libri, doveva constare di circa 5000 versi, di cui a noi sono giunti una cinquantina di frammenti. La solennità del verso lo fa collegare alla tradizione romana dei “carmina” ed infatti il poema ha proprio la forma di un carme continuo.


Giudizio

Con le commedie, Nevio esercitò la sua satira politica e sociale. In esse frequenti erano le allusioni al mondo politico contemporaneo, soprattutto ai personaggi che rivestivano le cariche più elevate (anche pretori e consoli). Violenti e memorabili dovettero essere gli attacchi rivolti soprattutto alla nobile e potente famiglia dei Metelli che, per ritorsione, dapprima lo fece imprigionare e poi, visto l’insistenza del poeta, addirittura esiliare a Utica. La polemica è documentata da due celebri frammenti: Fato Metelli Romae fiunt consules (Per disgrazia di Roma i Metelli diventano consoli), dove Nevio giocava sul doppio significato di fatum (disgrazia, ma anche destino) e la risposta dei Metelli, dura e arguta allo stesso tempo: Dabunt malum Metelli Naevio poetae (I Metelli provocheranno guai al poeta Nevio). Anche i Metelli, però, potrebbero aver giocato sul doppio significato di “malum” (“malanno”, ma anche “mela”).
Alle finezze letterarie, però, come abbiamo visto, seguirono i fatti e la conclusione, ovviamente, fu sfavorevole allo scrittore plebeo che da solo aveva osato sfidare un’intera famiglia patrizia.
Passando al campo strettamente culturale e letterario, possiamo affermare che Nevio fu davvero indipendente dalla cultura greca. Egli, infatti, si rifaceva non tanto al teatro alessandrino quanto alla tradizione romana popolare della satira e dei fescennini. Se poi vogliamo cercare qualche paragone o collegamento con il teatro greco, allora possiamo sostenere che lo spirito di Nevio è abbastanza simile a quello di Aristofane. Bisogna dire, però, che il poeta latino operò in una situazione politica e sociale sicuramente più sfavorevole di quella in cui si era trovato il grande commediografo greco. Se si considera, inoltre, che tra le vittime dei suoi attacchi c’è stata addirittura la famiglia di Scipione l’Africano, allora possiamo affermare che il coraggio di Gneo Nevio era davvero immenso.

Fortuna

Gneo Nevio non solo fu molto considerato quando era in vita, ma fu molto stimato anche in età classica, quando il gusto dei romani si era molto raffinato ed era diventato sicuramente più esigente. Grande fu, inoltre, l'influenza del poema di Nevio su Ennio e, più tardi, su Virgilio, che ne ammirarono il respiro grandioso e l'arcaica, ma emozionante rudezza.

QUINTO ENNIO (239 - 169 a. C.)

Fra tutti gli scrittori latini, Quinto Ennio fu il solo ad avere l’appellativo di padre (Ennius Pater, disse Orazio). Egli, infatti, fu davvero il padre della letteratura latina perché da lui discesero la poesia epica e quella drammatica, oltre che la satira e l’epigramma.

Vita

Quasi nulla si conosce della vita di Quinto Ennio prima che lo stesso si stabilisse a Roma. Egli stesso dice di essere nato a Rudiae (oggi Rugge, in Puglia, vicino Lecce), dove il linguaggio della popolazione locale si intrecciava con il greco della colonia di Taranto e, dopo la conquista romana, con il latino. Appunto per questo, Ennio, secondo un motto riferitoci da Gellio, affermava di avere tre anime: quella degli Osci, quella dei Greci e, infine, quella dei Romani conquistatori.
In ogni modo come scrittore Ennio fu soltanto latino, anche se la perfetta conoscenza della lingua e della letteratura greca gli permettevano di sentirsi intermediario tra la cultura ellenica e quella latina.
Quinto Ennio nacque nel 239 a.C.. Compì gli studi molto probabilmente a Taranto e per molti anni, durante la seconda guerra punica, servì nelle legioni romane tra gli alleati. Nel 204, anno in cui militava in Sardegna fra le truppe ausiliarie, fu notato e poi portato a Roma da Catone il Censore (allora questore), che ne rilevò l’intelligenza e le qualità poetiche. Per ironia della sorte, Ennio sarà tra i maggiori fautori dell’introduzione dell’ellenismo in Roma, ellenismo che Catone il Censore avversava e cercava di ostacolare in tutti i modi.
A Roma Ennio alloggiò modestamente sull'Aventino, nella sede della corporazione degli artisti, e per vivere si dedicò all’insegnamento, ma esercitò anche il mestiere di autore di teatro. In ogni modo, forse proprio grazie all’insegnamento, ebbe modo di frequentare l’aristocrazia romana ed ebbe l’amicizia e la protezione di Scipione l'Africano. Oltre che con la potente famiglia degli Scipioni, Ennio fu molto legato con altre personalità dell’epoca, soprattutto con coloro che propugnavano l’apertura di Roma alla cultura greca.
Nel 189 a.C., Ennio partecipò alla guerra contro la lega etolica al seguito del console Marco Fulvio Nebuliore e ne celebrò la vittoria nella tragedia “Ambracia”. Più tardi il poeta fu anche al seguito di Quinto Fulvio Nebuliore (figlio di Marco) grazie al quale ottenne solennemente la cittadinanza romana. Di questa Ennio fu ovviamente fierissimo ed orgoglioso, come possiamo dedurre da un celebre verso del suo poema: “Nos sumus Romani, qui fuimus ante Rudini” (Siamo romani noi che prima eravamo cittadini di Rudiae).
Ennio morì a Roma nel 169 a.C. e per i suoi meriti, oltre che per l’amicizia personale, fu sepolto nella tomba degli Scipioni, sulla Via Appia.

Opere

Ennio fu uno scrittore molto versatile e, come tale, si cimentò nei generi allora in voga nella letteratura greca alessandrina. Scrisse una raccolta di pensieri (Protrepticus o Praecepta), un'esposizione del sistema filosofico di Pitagora (Epicharmus) e di Evemero (Euhemerus), un carme celebrativo per Scipione l’Africano (Scipio), poemetti burleschi e quattro libri di Saturae, che non erano le satire di Lucilio, ma, piuttosto, scritti sui più svariati argomenti, proprio come l’antica satura. Tutte queste opere, purtroppo, per noi sono perdute.
Ennio compose anche una ventina di fabulae cothurnate, tragedie il cui argomento era preso soprattutto dal ciclo troiano (Achilles, Aiax, Alexander, Andromacha, Hectorislytra, Hecuba, Iphigenia). Il principale modello greco cui egli si ispirò fu Euripide, soprattutto per la simpatia di questi verso le eroine infelici.
Ennio scrisse pure due fabulae praetextae, di argomento tratto dalla storia romana: Sabinae, sulla leggenda del ratto delle Sabine da parte dei compagni di Romolo, e Ambracia, per celebrare la presa, nel 194 a.C., di questa città etolica da parte dei Romani comandati dal console Marco Fulvio Nebuliore. Anche delle tragedie ci restano solo pochi frammenti.
Gli Annali
L’opera maggiore di Quinto Ennio fu Annales (Annali) in 18 libri di 30.000 esametri, di cui 600 giunti fino a noi.
Fino a quando non comparve l'Eneide di Virgilio, gli “Annali” di Ennio costituirono il poema nazionale romano. In essi Ennio narrava i fatti storici attraverso cui si era costituita la potenza romana, dall’arrivo di Enea nel Lazio fino agli avvenimenti a lui contemporanei. Secondo l'uso degli storici primitivi, procedeva anno per anno. L’accesa fantasia del poeta aveva modo di dispiegarsi soprattutto nella parte iniziale, intrisa di leggenda, mentre via via si faceva vibrante anche il suo sentimento al ricordo delle vicende da lui stesso vissute.
Con un sogno narrato all'inizio del poema, il Ennio dichiarava di essere una reincarnazione di Omero, secondo le dottrine pitagoriche, quasi proclamandosi in tal modo cantore della nazione romana, dei suoi caratteri e delle sue gesta.

Giudizio

In Ennio, accanto a profonde meditazioni filosofiche e storiche, non mancano, però, le primitività, a volte le ingenuità di un'epoca arcaica, anche se il poeta raggiunge talora effetti di potenza espressiva non comune.
Resta da dire che Ennio fu, per la letteratura latina, quello che Omero fu per quella greca: il padre. Egli diede una forte accelerazione al processo di assorbimento della cultura greca introducendo l’esametro nella poesia latina e perfezionando uno stile magniloquente e ricco di pathos.


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