L'Oratoria

Da Cap2.

CIVILTÀ E LETTERATURA LATINA


PARTE SECONDA - IL PERIODO CLASSICO
(78 a.C. – 14 d.C.)


CAPITOLO 4 – L’ORATORIA

Come già in Grecia, anche in Roma l’Oratoria fiorisce nel periodo di libertà, per poi decadere quando quella libertà finisce, soffocata dalla dittatura. E ci piace far coincidere la fine della libertà repubblicana con la fine dell’oratoria, anzi con la morte del suo più grande esponente, quel Marco Tullio Cicerone che può andare a braccetto con un altro grande dell’oratoria, il greco Demostene, la cui morte segna, a sua volta, la fine della libertà greca. L’eloquenza latina si perde nel tempo … oratore era senza dubbio quel Menenio Agrippa che con il suo apologo riuscì a convincere i plebei a recedere dai loro propositi secessionisti; passando, però, ad un’epoca sulla quale siamo molto meglio informati, valenti oratori furono senz’altro Scipione Emiliano, Lelio il Saggio, Metello Numido e altri ancora. È ovvio, in ogni modo, che tutti i personaggi politici e militari di un certo calibro dovevano essere abili nel parlare soprattutto perché dovevano convincere la gente a votarli. Il primo vero oratore latino, però, è ritenuto Marco Porcio Catone il Censore. Vigorosissimo, di sobria ed incisiva eloquenza, senza fronzoli stilistici, per il Censore quello che contava era la sostanza e l’argomento; il suo motto, infatti, era ”rem tene, verba sequentur” (sii padrone del concetto, le parole verranno da sole). In pratica Catone era l’opposto di Cicerone: senza peli sulla lingua, la sua parola era rude, corposa, aspra e mordace, avendo, però, il sostegno di una vita integra e onesta.
Un ricordo speciale nell’eloquenza pre-ciceroniana spetta anche ai fratelli Gracchi. Da quanto c’è giunto attraverso Plutarco, sappiamo che l’eloquenza di Tiberio Gracco era infiammante e le sue parole taglienti come la spada. Ancora più importante è il fratello Caio Gracco, uomo di profonda rettitudine morale, onesto ed integro da poter competere con gli antichi padri di Roma. Di lui Cicerone disse: “Non so se egli abbia avuto qualcuno pari nell’eloquenza”.
Tra gli oratori precedenti l’Arpinate, troviamo anche un Marco Antonio, nato a Roma nel 143 a.C. ed avo del più conosciuto triumviro Marco Antonio. Nelle “Tuscolane” Cicerone lo reputò il più eloquente tra gli oratori che aveva udito e lo citò spesso nelle sue opere retoriche. Marco Antonio fu un conservatore ed ebbe anche una buona carriera politica culminante nel consolato del 99 a.C.. Egli fu soprattutto un oratore giudiziario e compare come interlocutore nel “De Oratore” di Cicerone, dove sostiene l’inutilità della cultura e l’importanza dell’inventiva. Di lui circolava un trattato di retorica, il De ratione dicendi. Marco Antonio fu fatto uccidere a Roma nel 87 a.C. da Caio Mario.
Altro grande oratore fu Licinio Crasso, morto nel 91 a.C. e quindi da non confondere con il triumviro Marco Licinio Crasso morto nel 53 a.C.. Cicerone lo stimò moltissimo e probabilmente invidiava anche alcune qualità che quello possedeva. Secondo l’Arpinate, Crasso era il più perfetto oratore dell’età precedente la sua e lo giudicò “al tempo stesso ornato e conciso”. Si tratta davvero di una lode grandissima: l’ornamento e la semplicità sono difficili da trovare insieme e lo stesso Cicerone era sempre ornatissimo, ma non sempre conciso.
Con Quinto Ortensio Ortalo siamo giunti al tempo di Cicerone.
Al periodo in cui fiorì Cicerone appartiene un’opera retorica dal titolo “Retorica ad Herennium”. Attribuita dai manoscritti a Cicerone, essa, per la diversità di stile e di pensiero con l’Arpinate, è dai critici moderni assegnata ad altri autori del tempo come, ad esempio, il retore Cornificio.
L’opera è giunta fino a noi; si tratta di un manuale, in 4 libri, per l’apprendimento dell’eloquenza. Essa sviluppa i 5 punti fondamentali dell’oratoria:
- l’INVENTIO (come trovare gli argomenti adatti);
- la DISPOSITIO (come disporre il discorso);
- l’ELOCUTIO (lo stile);
- la MEMORIA (il ricordare gli argomenti);
- la PRONUNCIATIO (il modo di esporre, atteggiamento, voce, volto, gesti).

Quinto Ortensio Ortalo (114 – 50 a.C.)

Quinto Ortensio Ortalo nacque nel 114 a.C.. Di ottima famiglia, prese ovviamente parte alla vita pubblica, percorrendo brillantemente tutto il “cursum honorum” fino a raggiungere il consolato nel 69 a.C..
Egli, eccellente oratore, è, però, conosciuto soprattutto perché fu spesso rivale forense di Cicerone, di cui era, in ogni modo, anche ottimo amico. Campione dell’eloquenza asiana, fastosa ed esuberante, Ortensio Ortalo esercitò l’avvocatura per oltre 40 anni: quando Cicerone iniziò l’attività forense, infatti, egli era già all’apice della propria. I due si trovarono di fronte per la prima volta nell’81 a.C. in un processo per una questione patrimoniale tra uno sconosciuto Publio Quinzio (difeso da Cicerone) ed un potente Nevio (difeso da Ortensio Ortalo). Essi, poi, si scontrarono nel ben più famoso processo di Verre (70 a.C.), dove Ortensio assunse la difesa dell’imputato e Cicerone sostenne l’accusa.
Nel 63 a.C., invece, i due assunsero la difesa di Gaio Rabirio accusato di perduellione da Labieno. Nell’occasione Ortensio svolse la difesa in linea di fatto, dimostrando l’assoluta estraneità di Rabirio al reato, mentre Cicerone si preoccupò di affrontare il problema in linea di diritto. Per la cronaca, precisiamo che, anche se sembra quasi inutile ricordarlo, Rabirio uscì salvo dal processo. Sempre nel 63 a.C., troviamo Ortensio Ortalo ancora insieme a Cicerone nello stesso collegio di difensori (di cui faceva parte anche Marco Licinio Crasso) per scagionare dall’accusa di brogli elettorali Lucio Licinio Murena. L’accusa, sia detto per inciso, era sostenuta anche da Marcio Porcio Catone l’Uticense (discendente del famoso “Censore”) la cui autorità morale era sufficiente da sola a condizionare il verdetto di un tribunale. Per onore di cronaca si ricorda che Murena fu assolto.
A dimostrazione del valore di Ortensio Ortalo, però, e di quanto lo stesso Cicerone ne temesse il confronto, Plutarco ci tramanda che il pensiero di dover parlare dopo Ortensio tolse all’Arpinate il sonno per tutta la notte.
Al di là della rivalità professionale, tra i due grandi campioni dell’oratoria romana ci fu senza dubbio rispetto e stima al punto che Cicerone, che in fondo ammirava molto Ortenzio, prendendo spunto dalla sua morte avvenuta nel 50 a.C., gli dedicò l’Hortensius (oggi perduto), un’opera dove l’Arpinate fa un’esortazione alla filosofia. Nel Brutus, poi, Cicerone fa spesso grandi elogi dell’eloquenza di Ortensio che riteneva inimitabile e che definiva “elegante nello splendore delle parole”, cioè capace di mostrare nella sua ricchezza espressiva, una grande eleganza e signorilità.
Ortensio Ortalo fu anche amico di Catullo che lo prende in giro nel Carme 95 e gli dedicò la celeberrima traduzione della “Chioma di Berenice”.
L’oratore, probabilmente, fece parte della schiera dei poeti, anche se di lui nulla ci è pervenuto. Neppure delle sue orazioni ci è giunto nulla, forse per il fatto che le stesse, una volta scritte, perdevano tutto il loro vigore.
Quinto Ortensio Ortalo morì a Roma nel 50 a.C..


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