L'età di Cesare

Da Cap2.

CIVILTÀ E LETTERATURA LATINA


PARTE SECONDA - IL PERIODO CLASSICO (78 a.C. – 14 d.C.)


Indice

CAPITOLO 1 - L’ETÀ DI CESARE

Il periodo arcaico della letteratura latina convenzionalmente si fa terminare nel 78 avanti Cristo, anno della morte di Lucio Cornelio Silla. In verità il dittatore nulla ha a che fare con la produzione letteraria latina (fu autore soltanto di un’autobiografia, peraltro perduta), ma con lui si chiude un’epoca, quella della gloriosa Roma repubblicana. Ormai l’impero si affaccia all’orizzonte e ci si appresta a vivere un periodo turbolento: la guerra servile di Spartaco, la congiura di Catilina, la lotta tra Pompeo e Cesare. Questo tempo travagliato, però, non soffoca l’arte e la letteratura, ma stranamente le favorisce e, da un mondo in subbuglio, da un paese dilaniato dalla guerra civile, escono geni come Lucrezio, Catullo, Cicerone, Sallustio, Giulio Cesare. Ormai la “Grecia aveva soggiogato il rozzo vincitore ed aveva introdotto le arti nell’agreste Lazio” (Grecia capta ferum vincitorem cepit et artes intulit agresti Latio) e continuava l’opera di raffinamento della civiltà latina.
Essendo, ormai, venuto meno l’opera di contrasto esistente al tempo di Catone il Censore, la civiltà greca e quella latina si avviano verso la fusione, che puntualmente avverrà in meno di due secoli. Si assiste, intanto, al connubio tra “otio” e “negotio”, tra vita pratica e cultura, tra politica e letteratura, magnificamente rappresentato da autori del calibro di Marco Tullio Cicerone e Giulio Cesare.


CAPITOLO 2 - FILOSOFIA E SCIENZE

Il I secolo a.C. è l’età della scienza e della filosofia. In questo secolo, infatti, troviamo un Terenzio Varrone, scienziato e filosofo, che fu il più erudito dei romani; c’è Nigidio Figulo, pitagorico e cultore delle scienze occulte; poi vediamo Cicerone, autore di importanti opere filosofiche, e Sallustio che fa precedere le sue monografie da proemi filosofici ed etici. Ed è in questo clima che nasce il De rerum natura di Lucrezio, una delle opere più alte della letteratura mondiale.

LUCREZIO (I secolo a. C.)

La vita

Della vita di Tito Lucrezio Caro si sa pochissimo, anzi possiamo dire che tra i grandi poeti latini è quello di cui sappiamo meno. Il fatto è strano e lo è ancora di più se pensiamo che gli autori romani erano soliti inserire elementi autobiografici nelle loro opere. Lucrezio, invece, non parla mai di sé o, se pure qualche volta lo fa, è sempre vago ed i suoi accenni misteriosi. Notizie sulla sua vita, anche se dubbie e in contraddizione con altre, le ha trasmesse soprattutto San Girolamo. Nel suo Chronicon si legge che Lucrezio sarebbe nato nel 94 a.C. e morto nel quarantaquattresimo anno di età, quindi nel 51 o 50 a.C.; Donato, però, nella sua “Vita di Virgilio” lo fa morire nel 55 a.C.; nella lettera di Cicerone al fratello Quinto che contiene il giudizio su Lucrezio, infine, c’è scritto che il poeta era morto da poco. Poiché questa lettera è del febbraio del 54 a.C., il 55 a.C. appare l’anno probabile della morte del poeta. Se, però, l'età che San Girolamo gli attribuisce alla morte è esatta, la nascita del poeta andrebbe anticipata al 99 a.C.. Secondo alcuni storici, Lucrezio nacque a Napoli, centro della filosofia epicurea in Italia. Egli fu certamente amico di Gaio Memmio, uomo politico e patrono di molti altri poeti tra i quali Catullo e Cinna. A lui, infatti, è dedicata la sua opera, il “De rerum natura”. Secondo San Girolamo, Lucrezio avrebbe composto il poema negli intervalli di lucidità che gli lasciava un filtro d'amore da lui usato e che gli era stato propinato da una donna perversa forse per vendetta. E che la storia del filtro sia vera, lo si può desumere dal finale del libro IV dove il poeta parla con orrore delle concupiscenze amorose ... è facile ritenere che le parole gli derivino proprio da quell’amara esperienza.
La morte di Lucrezio avvenne per suicidio.

L’opera

L’unico poema di Lucrezio, il “De rerum natura”, peraltro non rivisto, fu pubblicato postumo a cura di Cicerone e rinvenuto dall’umanista Poggio Bracciolini nel 1417.
L’opera, di circa 7500 versi, si divide in sei libri e mira a esporre le teorie epicuree sulla costituzione dell'universo, sulla natura dell'uomo, sui fenomeni terrestri e celesti. Il tutto ha il fine di liberare l'umanità dal terrore degli interventi degli dei nel mondo e dalla paura della sopravvivenza nell'aldilà. Il mondo, per Lucrezio, è retto dalle leggi meccaniche della natura e l'anima è mortale, perché costituita anch'essa di materia.
Tutto il “De Rerum natura” è pervaso da un entusiasmo, ribadito di continuo, che lo distingue da ogni altro poema meramente didascalico. Questo entusiasmo contrasta col tono pessimistico di molte parti del poema e costituisce l'elemento animatore e poeticamente più valido dell’opera.
Lucrezio si dichiara prima di tutto filosofo e il suo primo proposito è di convincere Memmio, e tutti gli altri uomini, della verità e provvidenzialità del suo pensiero.
Secondo Lucrezio, Epicuro fu un benefattore dell'umanità: il suo materialismo atomistico, attinto da Leucippo e da Democrito, e la dimostrazione che gli dei non si occupano delle vicende umane, hanno dissipato l'ignoranza e la superstizione, con i danni che esse arrecavano all'umanità. Lucrezio, però, è anche cosciente delle sofferenze umane, della violenza delle forze naturali, della malvagità degli istinti.
Nel De rerum natura Lucrezio, come poeta, dimostra una sensibilità delicata, oltre che una potente fantasia.

Giudizio

Accanto all'esaltazione per la verità filosofica, alle descrizioni poderose degli spettacoli naturali, Lucrezio ha momenti di tenerezza per i bimbi, per gli animali, per le bellezze del creato. Riesce in tal modo a trattare poeticamente una materia del tutto refrattaria e che lo costringe spesso a creare anche nuove parole e un nuovo linguaggio. Il suo stile rude, il suo esametro ancora faticato, tendono al grandioso, al potente, al sonoro; anche la lingua arcaicizzante, le allitterazioni, le assonanze, comunicano solennità ed efficacia al poema. L'artista ha coscienza di muoversi in un mondo poetico solitario e di essere investito di una missione; quindi il tono della sua parlata è costantemente serio e austero. Ormai a ridosso della poesia augustea, Lucrezio sceglie a modello Ennio piuttosto che la poesia didattica alessandrina.

Fortuna

Nel corso dei secoli l’opera di Lucrezio ha goduto di alterna fortuna, anche se i giudizi non sempre riguardano il valore dell’autore, ma, piuttosto, sono condizionati dal contenuto. Nell’antichità Lucrezio ebbe immediato successo al punto che, come si è visto, un personaggio di eccezionale cultura, come Cicerone, se ne fece editore.
Virgilio ammirò grandemente Lucrezio, a giudicare dagli echi lucreziani presenti nella sua poesia, e alte sono le lodi a questo poeta in Ovidio. Successivamente questo entusiasmo andò affievolendosi e i cristiani disprezzarono Lucrezio per il suo ateismo. Oggi gli studi lucreziani sono quanto mai attivi e il “De rerum natura” conosce un meritato favore.



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