Garibaldi

Da Cap2.

GIUSEPPE GARIBALDI

Giuseppe Garibaldi nacque a Nizza nel 1807. Fu uno dei principali artefici dell'unità e dell'indipendenza nazionale. Nel 1833 entrò a far parte della società segreta Giovane Italia, fondata dal rivoluzionario Giuseppe Mazzini con l'obiettivo di raggiungere l'unità italiana, l'indipendenza e un governo democratico e repubblicano. Fallito il progetto rivoluzionario concertato nel 1834, Garibaldi fu condannato a morte in contumacia dalle autorità sabaude; si rifugiò a Marsiglia e in seguito ottenne il comando di un brigantino diretto in Brasile (1835), dove sostenne l'insurrezione scoppiata nella provincia di Río Grande do Sul contro il governo brasiliano; nel 1842 fu costretto a riparare a Montevideo, dove sposò Anita, che si era unita a lui dal 1839. Poco dopo prese parte ad una guerra civile in Uruguay, a fianco dei ribelli contro le truppe governative e si distinse per il valore in battaglia.

Il ritorno in patria

Nel 1848 Garibaldi fece ritorno in patria; radunato un esercito di volontari, si pose al servizio di Carlo Alberto, re di Sardegna, che si apprestava a scendere in guerra contro l'Austria. Combatté contro le truppe asburgiche in Lombardia e poi passò a Roma dove riprese la lotta per l'indipendenza della Repubblica romana. Garibaldi riuscì a difendere Roma dagli assedianti per un mese (aprile 1849): quando i francesi entrarono in città, Garibaldi e i suoi uomini fuggirono verso Venezia, ancora libera.
Durante la fuga, Anita, stremata, morì nelle valli di Comacchio.
Giunto in Piemonte, Garibaldi accettò senza proteste la condanna e l'espulsione, e partì per gli Stati Uniti (1849). Nel 1854 tornò in patria e aderì alla Società nazionale, filosabauda.

La lotta per l'unità

Garibaldi combatté con successo nella campagna del 1859 al comando dei Cacciatori delle Alpi, riportando le vittorie di Varese e di San Fermo.
Nell'aprile 1860, quando a Palermo scoppiò la rivolta antiborbonica, organizzò la spedizione dei Mille; salpò da Quarto, presso Genova e, dopo una sosta a Talamone, sbarcò a Marsala, in Sicilia. Il primo scontro fu a Calatafimi: tra il maggio e l'agosto del 1860; i garibaldini riuscirono ad occupare tutta l'isola e vi instaurarono un governo provvisorio in nome di Vittorio Emanuele II. L'esercito borbonico fu incapace di organizzare la resistenza e di impedire lo sbarco nel Mezzogiorno. Al Volturno vi fu la battaglia decisiva: nei primi giorni di settembre Francesco II abbandonò Napoli per rifugiarsi nella fortezza di Gaeta e i garibaldini fecero un ingresso trionfale in città. Due mesi più tardi Vittorio Emanuele incontrò Garibaldi a Teano e "l'eroe dei due mondi" gli consegnò l'Italia meridionale; quindi, rinunciando a ogni onorificenza, si ritirò a Caprera.
Nell'estate del 1862, Garibaldi, al motto "Roma o morte", organizzò una nuova spedizione diretta contro lo Stato pontificio. Quando però Napoleone III rese pubblica la sua decisione di impedire un attacco contro Roma, Vittorio Emanuele si vide costretto a sconfessare l'impresa e inviò contro i volontari garibaldini un reparto dell'esercito regolare. Nella battaglia dell'Aspromonte (29 agosto 1862) Garibaldi venne ferito, arrestato e imprigionato per alcuni giorni.
Nel 1866 scoppiò la terza guerra d'Indipendenza; Garibaldi alla testa dei volontari il 21 luglio ottenne un'importante vittoria a Bezzecca, in Trentino. Richiamato nuovamente dal re, diede la famosa risposta: "Obbedisco". Poco tempo dopo progettò una spedizione a Roma. Il 3 novembre 1867 si scontrò con le truppe francesi e pontificie a Mentana e, dopo un breve combattimento, fu sconfitto e costretto a rifugiarsi a Caprera.
Nel 1870 lasciò il confino forzato nell'isola per offrire i suoi servigi alla Repubblica francese impegnata nella guerra franco-prussiana e sconfisse i tedeschi a Digione.
Giuseppe Garibaldi morì a Caprera nel 1882.


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