Etruschi

Da Cap2.
Versione delle 18:09, 27 ago 2012, autore: Anonimo olevanese (Discussione | contributi)

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Parlando degli Etruschi


ETRUSCHI

Le città-stato dell’Etruria erano sovrane e indipendenti, ma tutte insieme si riconoscevano in una superiore comunità etnico religiosa ed erano riunite in una istituzione di tipo confederale che comunemente chiamavano “lega”.

I rappresentanti delle città, costituita dal monarca, da un littore e da altri personaggi che davano vita a spettacoli, feste e giochi, si riunivano periodicamente nel santuario di Voltumna a Volsinii per discutere i problemi comuni, politici e militari, della nazione etrusca. Le consultazioni erano dirette da un "re" comune eletto tra i reggenti delle città. La lega fu sciolta dai romani nel 265 a.C. quando i centri confederati erano diventati quindici. Questo “re” era detto dai romani lucumone, lauxme o lauxume dagli etruschi. Non sappiamo con esattezza se la carica fosse a vita o temporanea, ereditaria o elettiva; accanto al lucumone doveva in ogni modo esistere un senato di aristocratici, forse di anziani delle casate emergenti, e probabilmente un’assemblea costituita da tutti i cittadini che godevano dei diritti politici. Secondo gli scrittori latini, simboli dell’autorità regale dei lucumoni erano la veste di porpora (toga praetetexta o picta), il trono d’avorio (sella curulis), lo scettro, il fascio con la bipenne ed il carro da guerra, tutte insegne di potere rinvenute durante scavi o su raffigurazioni etrusche che risalgono sino al VII secolo a.C., quando il regime monarchico deve essere stato in parte modificato: il lucumone passò nelle mani del sacerdote il potere sacro e assunse con la forza (forse anche in contrasto con l’aristocrazia) il pieno potere politico.

Sono note in questa fase numerose figure di re storicamente certi, come i Tarquini e Servio Tullio a Roma, Thefarie Velianas a Caere, Porsenna a Chiusi; costoro svolsero una politica personale molto ambiziosa e fortemente connotata in senso militare, alla stessa stregua dei tiranni greci.

Tra il VI e il V secolo a.C., come accadde nel mondo greco, in quello latino e in quel fenicio-cartaginese, gli ordinamenti delle città-stato etrusche subirono una crisi sfociata nella costituzione di nuove forme di governo di tipo repubblicano. Si sa che a Roma l’avvento della repubblica fu un’innovazione improvvisa (la cacciata di Tarquinio il Superbo nel 509 a.C.), ma per gli etruschi è più probabile che essa sia stata dovuta a una lenta evoluzione e al progressivo svuotamento dell’istituto monarchico, oppure alla reazione degli aristocratici che non accettavano l’imporsi di singole personalità.

Al vertice dello stato repubblicano c’era una magistratura suprema (forse di tipo collegiale e con un presidente) a cui competeva il potere esecutivo e giudiziario. Essa era eletta probabilmente ogni anno tra i membri degli esponenti delle maggiori famiglie aristocratiche che gli autori latini chiamano “principi” e che nel loro insieme costituivano un’assemblea corrispondente al senato romano. I termini etruschi che indicano i magistrati sono numerosi e non del tutto chiari riguardo alle funzioni cui si riferivano: lo zilach indicava forse l’equivalente del praetor latino, ma il titolo era spesso accompagnato da un attributo che ne indicava la particolare funzione; il purth o puthne si pensa equivalesse al pritano dei greci e viene collegato ad una qualche attività di capo dello stato. Il maru doveva invece svolgere funzioni civili e sacrali.

Quest’articolazione amministrativa, che facilitò il predominio dell’oligarchia aristocratica, oltre ad impedire l’affermazione di potentati personali, arretrò le concessioni nei confronti degli strati sociali più bassi che inutilmente rivendicarono il riconoscimento di un movimento organizzato, come invece ottenne la plebe romana.
Sul finire del IX secolo, all’interno della primitiva società villanoviana, cominciò a determinarsi in Etruria la differenziazione sociale che divenne un fatto compiuto tra la metà dell’VIII e quella del VII secolo a.C. Il potere passò allora in mano a famiglie ricche e potenti che in piccoli gruppi (casati) si riconoscevano discendenti da un antenato comune. La nascita dei gruppi gentilizi trova conferma anche nell’onomastica: abbandonata la vecchia formula del nome individuale seguito dal semplice patronimico, i nobili adottano l’uso di far seguire al loro nome proprio quello del casato, derivato dal capostipite e passato di padre in figlio. I membri di quest’aristocrazia, i domini o signori, non svolgevano alcun’attività produttiva che giudicavano degradante, ma detenevano le leve del potere politico ed economico e le funzioni di guida della comunità. Erano i possessori di terra che mostravano il loro potere, oltre che nella ricchezza dei beni, nell’esercizio delle attività militari.

Nel VI secolo, emersero anche le famiglie dei proprietari terrieri appartenenti al ceto medio (che spesso derivavano dai rami cadetti delle famiglie aristocratiche cittadine) le quali finirono con il dar vita ad una nuova e più ampia aristocrazia che mise fine al ristretto dominio oligarchico. Il commercio etrusco, soprattutto nel VII-VI secolo a.C., fu essenzialmente basato sull’importazione, com’è chiaramente dimostrato dalla sproporzione tra i pochi oggetti etruschi rinvenuti in altri paesi rispetto all’enorme quantità di beni stranieri affluiti in Etruria. Gli etruschi esportavano principalmente metalli grezzi (rame, piombo e ferro) estratti in gran quantità dalle miniere dell’alto Lazio e dell’Isola d’Elba. Altri beni di esportazione furono il legname, il sale prodotto nei centri costieri del Tirreno, l’olio e soprattutto il vino. Una gran quantità di anfore vinarie è stata, infatti, recuperata in numerosi relitti di navi. Al commercio del vino era in parte legato anche quello del bucchero, piccoli recipienti di tipica fattura etrusca adoperati per attingere o bere, rinvenuti in tutto il bacino del Mediterraneo. Con la battaglia di Cuma (474 a.C.) gli etruschi sconfitti dai siracusani persero definitivamente il controllo del Tirreno, ma alla crisi dei commerci marittimi corrispose un incremento dei traffici lungo le vie dell’interno, con il susseguente affermarsi di alcune città che, come Vulci, esportarono i loro prodotti verso la pianura padana, l’Europa centrale e gli altri centri dell’Etruria antica.



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